Il Mostro – racconto gotico metaforico

‘ancora una pipi qui e tutto il territorio dall’edicola alla statua del barcaiolo sarà ufficialmente mio!’
A questo pensava il randagio mentre camminava sul lungolago, fischiettando la Canzone Mononota, successo di Elio e sua canzone preferita da un po’..
Il randagio, nella sua vita precedente, si chiamava Black, anzi ILBLEC come lo apostrofava il suo padrone/tiranno/bastardo.
A lui quel nome non era mai piaciuto, anche perché il suo colore non era propriamente nero, anzi ricordava più un sacchetto del’umido. Il nome era quindi un parto di poca fantasia,  l’ennesimo ILBLEC cresciuto in quella cascina, figlio di BLEC e della NERINA, e nipote di un altro BLEC e di un’altra NERINA.
Nel primo tempo della sua vita ne aveva passate parecchie, un padrone/tiranno/bastardo che lo teneva alla catena e non lesinava qualche calcio, poco cibo e nessun riparo.
Fino al momento della fuga, la scelta consapevole della libertà, rischiosa ma sempre meglio di una corda al collo.
holi-colour-672714_1280Lui preferiva pensare a se stesso come GIORGIO, ‘che è un nome importante e io sono importante’.
Ma quella sera c’era qualcosa nell’aria e nell’acqua del lago, che interagiva con il subconscio e gli faceva rizzare il pelo vicino alla coda.
Non è un codardo Giorgio, è un cane coraggioso, ha affrontato cinghiali e volpi e aveva scelto consapevolmente il rischio della libertà.
E ne era sempre stato felice. Fino a quella sera, quando la nebbia che saliva dal lago colorando di grigio i contorni di alberi e lampioni, lo aveva fatto riflettere.
Non era più un cucciolo, e adesso il pensiero di una cuccia e una ciotola piena gli rimbombava nella testa.

Giorgio si diede una grattata dietro l’orecchio guardando quella strana nebbia. E sentì quel rumore di fango che si smuove, come di qualcosa che a forza veniva strappato dal fondo.E poi due tre quattro onde, di quelle che arrivano da lontano. Giorgio si ferma annusando l’aria. Un odore marcio e un alone verde sempre più luminoso arrivano dal lago.
E una voce, che Giorgio sente con la testa non con le orecchie. Un pensiero che gli si infila nel cervello, gelido come la catena che portava al collo.
‘fai la tua scelta, fai la tua scelta’.
Giorgio scuote la testa facendo volare goccioline di bava. Se i cani potessero sudare, in questo momento avrebbe la fronte imperlata. Ma lui è un cane, e non ha propriamente una fronte tra l’altro. Cerca di pensare di capire di decidere, ma l’istinto ha il sopravvento e formula un desiderio ‘voglio qualcuno che mi ami più di ogni altra cosa’ che all’esterno si traduce come un basso ringhio soffocato. E poi basta. Torna il buio pesto della notte.

‘Mamma guarda che belloooooooo, mammaaaaaaaaaa, guarda mammaaaaaaaaaaaaaaaa’
La vocetta stridula fa aprire un occhio a Giorgio, profondamente addormentato vicino al muro della stazione.Mammaaaaaaaaaaaa è bello lo voglio’.
Giorgio volta il muso perplesso di qua e di la, cercando di capire chi sia l’oggetto della dichiarazione d’amore appassionata di quella ‘vocina’.
Ma non vede nient’altro che la sua ombra. E due piedini calzati in scarpette di vernice nera.
‘ma dai Amove non vedi che questo è un cane bvutto, vognoso e puzza anche? se vuoi un cane amove di mamma ne compviamo uno bello, piccolo, da teneve sul divano in casa’
L’onda d’urto della voce di Ludovica arriva prima del sonoro ‘nooooooooooooooooo voglio questo mi piace questo gli voglio già bene lo porto a casa lo chiamo FUFFI’
Giorgio realizza all’improvviso di essere l’oggetto del contendere nella discussione tra ‘vocina’ e ‘erremoscia’, quindi si alza, si scuote, si gratta e si avvicina al muro per innaffiarlo.
Vocina ricomincia subito con entusiasmo ‘ecco guarda è bravissimo fa già la pipì da solo! dai Fuffi vieni vieni andiamo a casa’
Giorgio ci pensa un po’. Valuta le scarpine eleganti della bambina, la borsa di Prada della mamma con la erremoscia e il profumo che arriva da loro, come di vaniglia e biscotti. Gli brontola già lo stomaco. E’ a digiuno da ieri pomeriggio. E poi sembra proprio che Vocina si sia già affezionata. ‘E che sarà mai? Che ho da perdere? La libertà la cambio volentieri con questo profumo e del pane fresco tutti i giorni’ E fece quello che doveva fare, si avvicina a Vocina e le lecca la mano.
‘Si va bene ok, pevò lo povtiamo subito a lavave al negozio di animali che puzza pvopio’

Dopo circa due ore Giorgio non si riconosceva più. Era stato lavato e profumato. Gli avevano passato lo shampoo in punti che non avevano mai nemmeno visto dell’acqua.
Lo avevano pettinato, gli avevano tagliato le unghie, messo un collare con gli strass e una medaglietta con scritto FUFFI circondato da cuoricini blu.
Adesso era seduto su una macchina con gli interni in pelle con Vocina che gli accarezzava compulsivamente le orecchie dicendogli ‘sei mio tutto mio, dopo giochiamo con le bambole e ti presento l’orsacchiotto Bobo’.
L’unico pensiero di Giorgio al momento era ‘ma quando si mangia’. Anche se la guida nervosa di Erremoscia gli dava un senso di nausea. Lo scotto da pagare per il profumo che aveva addosso sembrava diventare improvvisamente sempre più alto.
Arrivarono finalmente al cancello di un parco. O almeno sembrava un parco. Ma era il giardino della sua nuova casa. E per casa Erremoscia intendendeva una villa da 36 stanze, 5 bagni e 3 persone di servizio.

‘Ecco Fuffi abiti qui tu adesso’
La stanza di Vocina era un tripudio di rosa e lilla, un letto da principessa Disney e un maxi schermo da finale dei mondiali in piazza.
Però..’ pensava Giorgio, ‘non si sta poi così male qui’.

Sono passati giorni e Giorgio/Blec/Fuffi era assopito su suo cuscino rosa e lilla, il riscaldamento a pavimento che aiutava la digestione del pollo e del riso, cucinato apposta per lui da un’altra umana residente nella casa, che erremoscia chiamava Doloreeeeeeeees.
Dopo anni passati a mangiare avanzi, tutto questo cibo sano gli risulta un po’ difficile da diigerire. Ma c’era sempre quel profumo di biscotto nell’aria. E Vocina.
Che gli raccontava nei dettagli quello che faceva a scuola. Che gli aveva insegnato a programmare le sue necessità fisiologiche, che prima assecondava secondo natura, in quelli che chiamava ”momenti del bisognino’. Che prima di andare a dormire gli diceva buonanotte e gli baciava il naso. Era bello tutto questo.
Certo che rinunciare alla libertà che aveva conquistato con fatica, fuggendo dal suo primo padrone/tiranno/bastardo era dura.
Le notti sotto le stelle ad abbaiare alla luna. Le scorribande nei prati con i suoi compagni di avventura. La gioia di andare e venire come più gli piaceva.
Era troppo per lui tutta questa comodità, tutta questa pace. Giorgio è uno spirito libero.

‘Ho deciso, lo faccio stasera mentre Vocina guarda la Dottoressa Peluche, che la manda in stato di catarsi’.
Il piano di Giorgio era semplice: con la pancia piena avrebbe grattato la porta della cucina, Dolores lo avrebbe fatto uscire e poi da li, trovare un varco nel cancello sarebbe stato facile. E si sarebbe ripreso la libertà.
‘Ecco Fuffi, guardo i cartoni e poi andiamo a nanna ok? Vocina gli diede il solito bacio sul naso, che si riempì di quel profumo di biscotto. ‘No‘ pensava Giorgio ‘ho deciso. Niente vale come il riprendermi la mia vita. Essere quello che sono veramente e trovare il vero me stesso‘ e inizia a uggiolare davanti a Dolores che distrattamente gli aprì la porta.

Fino qui tutto bene, e Giorgio si ferma solo un attimo di fianco alla piscina, per dare un’occhiata attraverso la porta finestra e vede Vocina seduta sul tappeto, con gli occhi spalancati davanti al suo cartone animato preferito, l’orsacchiotto stretto fra le braccia. E’ ora di andare.
All’improvviso le luci sul fondo della piscina si accesero, facendo brillare l’acqua di verde. Giorgio si ferma. Ed ecco di nuovo la sensazione, il pelo che si rizza e un’eco nella testa ‘amare è difficile, ma farsi amare ancora di più’.
Giorgio scuote le orecchie come se lo avessero innaffiato con la canna dell’acqua, borbotta di rimando ‘io volevo qualcuno che mi amasse, ma è troppo per me. Io ho bisogno della mia libertà, ho ancora tante cose da fare e da vedere’
L’eco continua come un tuono lontano
‘Amare è sacrificio, ma farsi amare vuol dire fiducia, vuol dire lasciare cadere le tue difese, vuol dire che dai il permesso a qualcuno a di prendersi cura di te.’
L’aria è immobile nel freddo della sera e la voce nella testa di Giorgio continua ‘Amare a volte significa rinuncia, ma farsi amare vuol dire lasciarsi alle spalle due passati singoli per un futuro insieme. Ma se non sei pronto Giorgio, non c’è problema. Fai la tua scelta. Ma attento a quello che scegli di desiderare. Potresti ottenerlo. E non sempre è possibile tornare indietro’
Così come si erano accese le luci della piscina si spensero all’improvviso lasciando il giardino illuminato solo dalla luce della luna.
Giorgio lasciò il vialetto lastricato e si incamminò nel prato avvicinandosi al cancello. Le sbarre erano strette, ma si era infilato in buchi più piccoli di quello. Annusò per bene la sbarra più vicina si girò ancora verso la villa illuminata e alzò la zampa innaffiando a dovere la cancellata.

‘Dolores dov’è Fuffi? Non lo trovo’.
‘Mi ha chiamato per uscire ma non è ancora tornato’
‘Fuffi?’ Vocina si alza di scatto e apre la porta finestra, guarda verso la piscina e lo chiama, la voce incrinata da un sottile senso di paura.
Giorgio scodinzola seduto davanti alla porta. Le sorride, per quanto possa farlo un cane.
‘Fuffi mi hai fatto paura! Vieni dentro che fuori fa freddo’.
Entrano in salotto e si siedono vicini sul tappeto. Giorgio si acciambella, poi si rialza di scatto, guarda Vocina dritta negli occhi e le da una leccata sul naso.

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